Raccolta di racconti, favole e poesie

lunedì 3 dicembre 2012

Solitudine, se abitare devo... - John Keats


Solitudine, se abitare devo
con te, non sia nel mucchio mal congesto,
tetro, di case; meco sali l'erta,
specula di natura, onde la valle,
i fioriti pendii, la cristallina
piena del fiume, possano sembrare
brevi, una spanna; e faccia io le tue scolte
ove son tenda i rami, ove balzando
rapido il daino mette in fuga l'ape
selvatica dal calice dei fiori.
Amo andar teco queste scene; pure
quel dolce con un animo innocente
conversare, che specchio sue parole
sono di squisitezza dei pensieri,
questo della mia anima è il diletto;
e certamente per l'umana specie
quasi beatitudine suprema
dev'esser quando in tuoi soggiorni due
spiriti affini trovano rifugio.

***

O solitude! If I must with thee dwell,
Let it not be among the jumbled heap
Of murky buildings; climb with me the step, -
Nature's observatory - whence the dell,
Its flowery slopes, its river's crystal swell,
May seem a span; let me thy vigils keep
'Mongst boughs pavillion'd where the deer's swift leap
Startles the wild bee from fox-glove bell.
But though I'll gladly trace these scenes with thee,
Yet the sweet converse of an innocent mind,
Whose words are images of thoughts refin'd,
Is my soul's pleasure; and it sure must be
Almost the highest bliss of human-kind,
When to thy haunts two kindred spirits flee.

Il baule volante - Hans Christian Andersen


C'era una volta un mercante, tanto ricco che avrebbe potuto far lastricare coi suoi talleri sonanti tutta una strada e anche un vicolo per di più. Ma non lo fece, poiché sapeva impiegare ben diversamente il suo denaro: bastava che spendesse un solo soldo, che gli fruttava subito un tallero intero. Benché fosse un mercante così abile, giunse anche per lui il giorno della morte.
Il figlio, avendo ereditato tutto quel denaro, cominciò a condurre una vita molto dispendiosa e allegra: andava ogni notte ai balli mascherati, faceva aquiloni con i biglietti di banca, e in riva al lago si divertiva a giocare a rimbalzello con dolci focacce e perfino con monete d'oro, anziché con i comuni sassolini. Così il denaro, sciupato in queste e altre stranezze, cominciò ad assottigliarsi, e un bel giorno finì.
il giovane si trovò con pochi soldi in tasca, mentre del suo ricco vestiario non gli era rimasto che un paio di pantofole e una vecchia veste da camera. Gli amici cominciarono a trascurarlo, perché si vergognavano di farsi vedere insieme a lui, ma uno di essi, un bonaccione, pensò di mandargli un vecchio baule, col consiglio di far fagotto e andarsene per il mondo, in cerca di miglior fortuna.
Ma che mettere nel baule, se non possedeva più nulla? Rimase un poco sovrappensiero, e poi finì per sedervisi lui stesso.
Era un baule veramente strano! Bastava premere la sua serratura che già esso s'innalzava in volo. Così il nostro giovane, senza che nemmeno se ne fosse accorto, si trovò improvvisamente a volare in alto, attraverso la cappa del camino, su su verso le nubi, lontano lontano. Egli sentiva di tratto in tratto scricchiolare il fondo del baule e, pieno di paura, pregava Dio che non si rompesse. Altrimenti chi sa che bel salto avrebbe fatto!
Dopo lungo volare giunse infine nel paese dei turchi. Nascose il suo strano baule tra le foglie di un bosco e si avviò verso la più vicina città. Il suo abbigliamento non aveva nulla di eccezionale per quelle contrade, dato che i turchi indossano abitualmente vesti lunghe e calzano pantofole.
Strada facendo si imbatté in una balia, che recava in braccio un bimbo.
"Senti un po', balia turca," le disse "che cos'è quel castello vicino alla città, con le finestre tanto alte?"
"E' la dimora della figlia del re" fu la risposta. "Le è stato predetto che avrebbe sofferto molto per un amore infelice, e il re e la regina l'hanno voluta relegare lassù, perché nessuno le si avvicini, a meno che essi stessi non siano presenti."
"Grazie" disse il figlio del mercante, e ritornato nel bosco, sedette dentro il suo baule; volò con esso fino al castello ed entrò direttamente nella camera della principessa.
Essa stava dormendo su un divano: era tanto graziosa nel sonno, che il giovane non poté fare a meno di baciarla teneramente. Spaventata, la fanciulla si destò, ma egli la rassicurò col dirle che era il dio dei turchi, sceso fino a lei dal cielo. E la principessa ne rimase molto lusingata.
Egli le sedette accanto e le parlò di cose bellissime: dei suoi occhi meravigliosi, oscuri e profondi come il mare, nei quali i pensieri vagavano come le vezzose sirene nei recessi marini, della sua fronte candida come una cima nevosa, con sopra un castello, ricco di saloni magnifici e splendide pitture. E le raccontò ancora tante cose meravigliose. Infine chiese la sua mano e lei gli disse subito di sì.
"Ma è bene che ritorniate il pomeriggio del sabato" soggiunse "quando il re e la regina, come di consueto, verranno a trovarmi. Certamente si sentiranno molto orgogliosi che il dio dei turchi si sia degnato di scegliermi per moglie. Dovreste raccontare loro, per distrarli, una bella favola. Mia madre preferisce storie serie e morali, mio padre predilige quelle allegre, che lo facciano divertire."
"Sta bene, sarà questo il mio dono nuziale" rispose il giovane, e con ciò si separarono. Prima però la principessa gli regalò una sciabola tempestata di monete d'oro, che gli giunse allora proprio a proposito!
Egli volò quindi via e andò a comprarsi una nuova veste; poi si recò nel bosco per comporre la favola richiesta. Era un compito non molto facile, tanto più che doveva essere finita entro il sabato prossimo.
La sera del giorno stabilito la fiaba era ultimata. Il giovane si recò al castello, dove il re e la regina con tutta la cortesi erano riuniti per riceverlo. Fu accolto con grandi onori.
"Vorreste narrarci una favola?" gli chiese la regina; "che sia seria e istruttiva."
"Ma anche allegra" soggiunse il re.
"Volentieri", rispose il giovane e si mise a raccontare. E ascoltiamolo attentamente anche noi.
"C'era una volta un mazzetto di fiammiferi, molto fieri della nobile loro origine. Il loro albero genealogico, infatti, era stato un gigantesco abete, e ciascuno di essi era appena una minuta scheggia di questa pianta annosa. Stavano ora su una mensola, in compagnia dell'acciarino e di una vecchia pentola di ferro, e rievocavano a questi gli anni più belli della loro giovinezza.
"Come si stava bene" dissero "quando eravamo appena dei rami verdi! La rugiada ci offriva mattina e sera il suo benefico ristoro, terso come il più luminoso dei diamanti. Il sole, quando c'era, ci mandava tutto il giorno i suoi raggi, e gli uccellini del bosco ci raccontavano le loro storie più belle. Sapevamo di essere anche ricchi, perché, mentre gli altri alberi si rivestivano di verdi fronde solo nella buona stagione, la nostra famiglia invece era in grado di procurarci abiti per tutto l'anno. Ma un brutto giorno vennero i boscaioli e misero tutto sottosopra: la nostra famiglia fu sterminata e ridotta in pezzi. Il nostro capostipite divenne l'albero maestro di un grande bastimento, e partì per conoscere il vasto mondo. Altri compiti toccarono agli altri rami, mentre noi siamo stati destinati a dar luce alla gente.
'Io posso raccontarvi ben altro' cominciò invece la sua narrazione la vicina pentola di ferro. 'Dacché sono venuta al mondo, molte volte mi hanno ripulita e messa sul fuoco a bollire. Sono l'arnese più solido in tutta la casa e, diciamo la verità, vi occupo un posto molto importante. Il mio solo divertimento consiste nello starmene, dopo i pasti, ben ripulita sulla mensola, in piacevole conversazione con i miei vicini. Facciamo tutti una vita molto ritirata qua dentro, a eccezione della secchia d'acqua, che a volte scende nel cortile.
L'unica a portarci qualche notizia dal mondo esterno è la borsa della spesa. Ma parla del governo e del popolo in tono troppo ribelle e violento, tanto che l'altro giorno una vecchia e pacifica marmitta, spaventata dai suoi discorsi rivoluzionari, cadde per terra e andò in mille pezzi. E' uno spirito troppo turbolento, indubbiamente!'
'Basta con le chiacchiere' intervenne l'acciarino, strofinando la pietra focaia, che sprizzò scintille. 'Anziché perderci in inutili racconti, cerchiamo di passare la serata un po' più allegramente!'
'Su, giudichiamo chi fra di noi è il più distinto' proposero i fiammiferi.
'Non mi par bello parlare di se stessi' osservò il vaso d'argilla. 'Propongo invece una piacevole serata di conversazione: ognuno di noi racconterà una sua avventura particolare. Sarà una cosa interessante sentire tutti. Cominciamo da me: sul Baltico, presso la corte dei danesi...'
'Che bell'inizio!' esclamarono in coro i piatti 'Sarà certo un racconto piacevole!'
'...dunque, passai lì la mia giovinezza, presso una famiglia tranquilla e amante dell'ordine: i mobili erano lucidi come specchi, i pavimenti puliti, e linde tendine si cambiavano molto spesso alle finestre.'
'Con quanta precisione racconti' disse la scopa ammirata. 'Si indovina subito che sei una donna di casa. A sentire le tue parole sembra di respirare una fresca aria di pulizia.'
'Già! E' proprio così' assentì la secchia, e quasi per confermare le sue parole fece un balzo, che la mandò a finire per terra.
Il vaso di argilla continuò la narrazione e la fine fu pari all'inizio.
I piatti per la gioia si misero a tintinnare, e la scopa, dopo essersi procurata qualche foglia di prezzemolo, lo inghirlandò. Sapeva che con ciò avrebbe fatto dispetto agli altri, mentre così pensava fra sé: se oggi lo inghirlando io, domani farà altrettanto lui a me!
'Abbiamo una matta voglia di ballare!' esclamarono le molle da fuoco e infatti si misero a danzare allegramente. Ma caspita, come alzavano in alto le gambe! La fodera della vecchia poltrona, rincantucciata lì, nell'oscuro angolo, spalancò talmente gli occhi alla loro vista, che finì per scucirsi tutta.
'Ci meritiamo anche noi la ghirlanda?' chiesero le molle. E se la meritarono infatti.
'Che gentaglia!' pensarono i fiammiferi.
Venne ora la volta della teiera, che avrebbe dovuto prodursi in una canzone, ma si scusò di non poterlo fare, adducendo come pretesto un forte raffreddore; anzi soggiunse che per poter cantare era necessario che fosse in stato di ebollizione. In verità amava darsi arie di grandezza, poiché, detto in confidenza, avrebbe preferito esibirsi nella sala da pranzo, in presenza dei signori.
Sul davanzale della finestra era posata una vecchia penna, di cui la domestica faceva talvolta uso per scrivere. Non aveva nulla di particolare, salvo che era stata troppo immersa nell'inchiostro, cosa di cui andava molto fiera.
'Se la teiera non desidera cantare' disse 'lasciatela in pace. Nella gabbia, là fuori, c'è un usignolo, che ne potrà fare le veci; è vero che non è molto istruito, ma per questa sera glielo possiamo perdonare!'. 'Trovo che sia una cosa sconveniente' intervenne a questo punto il bricco da tè, che fungeva da cantante di cucina, ed era fratellastro della teiera. 'Sta male ascoltare un uccello straniero! E' mancanza di ogni senso di patriottismo! Invito la borsa da spesa a esporre il suo autorevole giudizio in merito!'
'Sono proprio sdegnata" disse la sporta 'quanto nessuno se lo può immaginare. Vi sembra un modo ragionevole questo di passare la serata? Non sarebbe meglio mettere una buona volta in ordine la casa? Io organizzerei tutto, e ognuno si sentirebbe al posto che gli spetta.'
'Ma lasciaci fare un po' di chiasso!' gridarono allora gli altri in coro.
All'improvviso si aprì la porta e la domestica entrò. Tutti ammutolirono e non si udì più una sola sillaba: ma non c'era un recipiente che non fosse conscio della propria importanza e dignità: 'Oh se avessi voluto' pensava ognuno 'che allegra serata avremmo potuto passare!'
La domestica prese i fiammiferi e accese il fuoco: mio Dio, come crepitavano e quante scintille mandavano fuori!
'Ecco, ora ognuno avrà la certezza che noi siamo veramente i più importanti' pensarono. 'Basta vedere la nostra luce e il nostro splendore!'
Ma eccoli già belli e bruciati."
"E' stata proprio una splendida fiaba!" disse la regina. "Mi sembrava di trovarmi addirittura in quella cucina, tra i fiammiferi e gli altri arnesi: siamo disposti a darti nostra figlia in moglie."
"Sicuro" confermò il re "l'avrai lunedì" E gli dava già del tu, come si conviene a un futuro membro di famiglia.
Fissato il giorno delle nozze, la sera precedente tutta la città venne illuminata a festa. Panini dolci e ciambelle furono distribuiti alla popolazione, mentre i monelli affollavano le strade, gridando a squarciagola: "evviva!" e fischiando allegramente.
"Anch'io devo recare il mio contributo ai festeggiamenti" pensò il figlio del mercante. Comprerò razzi, petardi, e ogni sorta di fuochi d'artificio. Mise tutto nel suo baule e s'innalzò con esso in aria.
Puffete! Una volta in alto i petardi esplosero con grande detonazione. I turchi all'improvviso rumore sobbalzarono, facendo volare in alto perfino le loro pantofole. Non avevano mai visto simili prodigi celesti,e perciò finirono per convincersi che fosse proprio il dio dei turchi a sposare la loro principessa.
Dopo che il figlio del mercante si fu un'altra volta calato col suo baule nel bosco, pensò di recarsi in città, per sentire che impressione avessero fatto sulla gente tutti quei fuochi e le detonazioni. Del resto la sua era una naturale curiosità. Ognuno gliela raccontò a modo suo, ma certo l'impressione generale era stata ottima.
"Ho visto il dio dei turchi in persona!" disse uno. "I suoi occhi luccicavano come stelle e la sua lunga barba ondeggiava come l'acqua del mare."
"Volava tutto avvolto in un manto infocato" riferì un altro. "E leggiadri volti d'angelo spuntavano tra le pieghe."
Il giovane sentiva con orgoglio questi racconti veramente prodigiosi ed era lieto che all'indomani si celebrassero le sue nozze.
Fece allora ritorno al bosco per riprendersi il suo baule, ma dove mai era andato a finire?
Una scintilla dei fuochi artificiali, cadendovi sopra, lo aveva tutto incendiato, e del magico baule rimase appena un mucchio informe di cenere. Il nostro giovane non poteva più volare, non poteva raggiungere la sposa che lo attendeva.
Per tutto un giorno intero lei stette invano ad aspettarlo, sopra la torre del suo castello. E ancor oggi lo aspetta, mentre egli vaga per il mondo e racconta fiabe, ma non così divertenti come quella dei fiammiferi.