Raccolta di racconti, favole e poesie

martedì 16 ottobre 2012

Benedizione - Charles Baudelaire




Quando, per un decreto dei supremi poteri
fra gli uomini annoiati il Poeta discende,
sua madre, in preda al panico e gonfia d'improperi,
a Iddio che la commisera i chiusi pugni tende:

"Ah! mi fossi sgravata d'una covata d'aspidi,
piuttosto che nutrire in me simile scherno!
Maledetta la notte dagli effimeri brividi,
quando accolsi nel ventre il mio castigo eterno!

Poiché tu m'hai, Signore, fra le donne dannato
a sucitar l'orrore di un infelice sposo,
e questo contraffatto essere non m'è dato
buttar nel fuoco, come un biglietto amoroso,

stornerò l'odio tuo che su me s'accanì
sul fatale strumento dei tuoi progetti infami,
e torcerò quest'albero miserevole sì
da seccarne i boccioli velenosi sui rami!"

Così lei, ringoiando le bave acri dell'ira,
senza per nulla intendere i sovrumani editti,
infondo alla Geenna a erigere cospira
i roghi consacrati ai materni delitti.

Frattanto, ebbro di sole, sotto l'ala invisibile
d'un Angelo, il bambino reietto s'incammina,
e vede le bevande mutarglisi ed i cibi
in nettare vermiglio e in ambrosia divina.

Ride ai venti, le voci delle nubi raccoglie,
e s'esalta, cantando, della croce che porta,
giocando come un passero che vola fra le foglie:
ne singhiozza lo Spirito, ch'è sua mistica scorta.

Quanti vorrebbe amare, lo guatan con spavento;
oppure, innanzi a tanta mansuetudine prodi,
gareggiano a cavargli dalle labbra un lamento,
e sul suo corpo provano mille efferati modi.

Fin nel pane e nel vino che avvicina alla bocca
sputi e cenere intridono nelle più sozze forme;
storcono untuosi il naso da ogni cosa che tocca;
e si fanno una colpa di seguitarne l'orme.

La sua donna a gran voce va gridando nel foro:
"Poiché sembro ai suoi occhi così bella, e mi crede
degna d'adorazione, vo' rivestirmi d'oro,
come gli antichi idoli, tutta, da capo a piede.

E di nardo, di mirra, d'olibano pretendo
satollarmi, di carni, di liquori, d'inchini,
per sapere se posso usurpare ridendo
in un cuor che m'ammira gli attributi divini.

Quando poi sarò stanca di queste empie follie,
sopra gli poserò la magra e forte mano,
e con unghie affilate come unghie d'arpie
mi scaverò la strada fino al suo cuore umano.

Come un uccello implume che palpita e che guizza
quel suo purpureo cuore gli strapperò dal petto
e scagliandolo a terra, per disdegnosa bizza,
ne sfamerò il mio levriero prediletto!"

Verso il cielo, ove scorge un trono d'oro e luci,
leva, placido e pio, il Poeta le braccia,
e i maestosi lampi del suo spirito lucido
gli celano la vista dell'orda che minaccia:

"Sia lode a te, Signore, che dai la sofferenza
come un sublime farmaco delle nostre viltà,
e come la migliore e la più pura essenza,
ai forti preannuncio di sante voluttà!

Io so che un seggio in cielo tu conservi al poeta
fra le felici schiere delle sante Legioni,
e lo inviti alla eterna agape ove s'allietano
i Troni, le Virtù e le Dominazioni.

So che la sofferenza è il blasone più certo,
cui non potranno mordere l'inferno né la terra,
e che per intrecciare il mio mistico serto,
agli evi e agli universi dovrò muovere guerra.

Ma quante ebbe Palmira gemme nei dì lontani,
e ignote pietre e perle celano il suolo ed il mare,
anche se incastonate con le tue stesse mani,
non saprebbero al fulgido mio diadema bastare:

poiché sarà contesto di sincere faville,
attinte al fonte sacro dei primigeni raggi,
di cui, per quanto brillino, le terrene pupille
non sono che velate e nostalgiche immagini!"

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